12/09/14

EVER DREAM THIS MAN?




Perché il linguaggio dei sogni e le sue multiformi derive non conosce limiti. Molto interessante, non potevo non inserirlo in questo blog.


Per quanto mi riguarda, posso solo dire che in un certo periodo (purtroppo non ricordo quando, visto che non ho appunti in merito) ho sognato più e più volte le visite di un certo signor Glaaki, che però era solo una versione leggermente diversa del sottoscritto. Una delle sue prerogative era darmi istruzioni sul futuro, per altro abbastanza ermetiche, in particolare con riferimento alla prossima fine del mondo (un leitmotiv, in quel momento della mia vita onirica) Non credo sia ascrivibile al fenomeno dell'uomo dei sogni, di cui però non sono un esponente. Non ritengo di avere mai sognato l'individuo di cui si parla qui. Almeno fino ad ora.

23/06/14

BAMBINI, PECORE E LEVITAZIONI

Sogno del 26/12/09:



Ero un bambino delle elementari, ma in realtà il mio cervello veniva dal futuro, sicché ragionavo come un trentenne (non che la cosa mi servisse a molto, perché in realtà mi stavo abituando a ragionare proprio come un fanciullo, e i pesi della vita non li sentivo, e in fondo non è che io adesso ragioni tanto meglio di un bambino) – in ogni caso non ho mai scoperto come potesse essere successa una cosa del genere, accettavo questa situazione con estrema gioia. Anche perché mi piaceva scarabocchiare sui banchi, leggere i libri illustrati e fare il sapientone con gli altri compagni di classe – fra cui la mia migliore amica, una bambina bionda dalle trecce lunghe e un gigantesco paio d’occhiali dalla montatura rossa. Questa bambina e io eravamo praticamente sempre incollati, io le facevo un po’ da fratello maggiore, lei girava per i corridoi con la sua aria sognante, gli occhi leggermente strabici sempre puntati su qualcosa fuori dalla finestra, in prevalenza il cielo. C’era un’altra cosa che le piaceva da matti: durante l’intervallo noi bambini si andava tutti in cortile. Io e la mia piccola amica spendevamo quei preziosi minuti con una piccola pecora che abitava lì. La mia amichetta, che per comodità da ora chiamerò Pippi (dato che nel sogno non l’ho mai chiamata per nome) – Pippi, dicevo, adorava questa pecora. Uno strano animale, a essere sinceri: non stava lì col muso a brucare erba o a guardare i bambini con sguardo ebete; no, lei si metteva come seduta su un gradino, imitando il nostro modo di sederci, levava la testa al cielo e ogni tanto si guardava tutt’attorno con un’espressione da Gioconda. Immagino che Pippi la sentisse uno spirito affine. Spesso, mentre l’animale osservava rapito qualcosa che io non vedevo, coi suoi occhietti allegri come di chi la sa lunga – sai, quegli occhi a mezzaluna rivolta verso il basso, che sembrano bocche tristi e allo stesso tempo sembrano racchiudere un’ilarità inaudita, beh, insomma, mentre la pecora studiava il mondo intorno a sé, Pippi apriva le braccia e poi gliele chiudeva intorno al corpo come per spremerla, gridando: “Come è morbida!” E devo ammettere che lo era davvero. Peccato che l’assenza di reazioni della pecora mi turbasse un po’.

Ora, prima che le cose comincino a diventare inquietanti, devi sapere che io sapevo che Pippi mi nascondeva qualcosa: sì, perché di tanto in tanto, mentre era persa nei suoi svolazzi mentali, aveva l’abitudine di mettersi a levitare. Non tanto, ma diciamo che camminava a dieci centimetri dal pavimento. So che voleva tenerlo segreto, così non insistevo, ma la cosa mi faceva un po’ infuriare e le mettevo il broncio (come ho detto, ero tornato a essere quasi in tutto e per tutto un bambino). Quando vedevo che Pippi non si accorgeva di levitare, mi accertavo perfino che nessun altro la scorgesse. Era il nostro segreto, e volevo custodirlo. Non posso dire che amassi quella bambina, non provavo emozioni definite, nel sogno, forse proprio come un bambino che non conosce l’esatta natura dei suoi sentimenti, ma so che era la mia migliore amica e dovevo proteggerla.
Poi, successe.
Non so come altrimenti potrei definirlo, ma nella scuola si manifestò uno spirito maligno. La vita procedeva sempre uguale, fra bambini e pecore, e piccole levitazioni da tener d’occhio. Presto, però, io e Pippi ci accorgemmo che sempre più di frequente avvenivano episodi bizzarri: bambini che davano leggermente di matto, strappavano libri o rovesciavano banchi, maestri e maestre che guardavano fissi nel vuoto o si dimostravano particolarmente severi, cose così. Niente di eclatante, come se l’entità che si era stabilita nella scuola non volesse farsi notare troppo. In questo ci somigliava, a me e a Pippi. Io che ragionavo come un grande e volevo spacciarmi per un bambino come tutti gli altri, Pippi che celava al mondo la sua eccezionale qualità, lo spirito maligno che voleva divertirsi alle spalle di tutti combinando guai mai troppo gravi.
Io e la mia migliore amica decidemmo di indagare. Prima di tutto studiavamo con attenzione ogni piccola stranezza, per capire se ci potesse essere dietro lo zampino dello spirito. Passavamo le nostre ore nel cortile tenendo d’occhio tutto e tutti, mentre la pecora, sempre assorta ed enigmatica, se ne stava lì a farsi sprimacciare da Pippi.
Alla fine capimmo che l’entità si poteva trasmettere da un corpo all’altro per mezzo del contatto. Così, se un bambino urlava e sfasciava tutto, quando la maestra cercava di calmarlo, la cosa passava alla maestra, che dopo ci avrebbe immancabilmente trattato con severità e ingiustizia, magari perfino umiliato.
Io e Pippi decidemmo di intervenire direttamente, interrogando il nemico e mettendolo alle strette. L’occasione propizia capitò quando lo spirito entrò in uno dei nostri compagni di banco un po’ lento nei movimenti, grasso e goffo. Suonò la campanella e tutti corsero fuori dalla classe. Noi, fingendo di dover ancora mettere le cose negli zaini, aspettammo il nostro compagno di banco. Probabilmente lo spirito maligno risentiva delle caratteristiche fisiche dell’ospite, perciò aveva fatto male i suoi calcoli entrando nelle impacciate fattezze del nostro amico.

Io e Pippi ci piazzammo davanti alla porta, come dei bulli in erba. Non avevamo idea di quello che avremmo fatto, speravamo di improvvisare qualcosa di buono. Ma poiché il mio cervello è uno sceneggiatore eccezionale quanto malefico, in quel momento del sogno, il bidello ci passò in mezzo ed entrò nell’aula per fare le pulizie. Vedemmo il nostro compagno di classe passargli accanto, scivolare tra di noi e imboccare il corridoio. Il bidello invece si era fermato sul posto, e ora si voltava con aria cattiva.
“Adesso vi faccio vedere”, disse la cosa con voce terribile, poi spezzò in due la scopa che aveva in mano e ci venne incontro brandendo il frammento più scheggiato e aguzzo.
“Dammi la mano,” disse Pippi, e io gliela presi. Appena in tempo. Non posso descrivere che bella sensazione sia volare, e neppure levitare, ma tutti abbiamo sognato di farlo prima o poi, perciò non sto a spiegare che senso di felicità misto a eccitazione e paura mi avesse preso quando Pippi si mise a camminare quattro metri per aria con me accanto. Purtroppo non potevamo muoverci veloci, camminare per aria non è come farlo sul terreno solido. E il bidello ci stava dietro, sorridendo in modo crudele.
E qua siamo al punto cruciale, il colpo di scena finale. Perché, mi duole ammetterlo, questa storia, che pure tanto mi è piaciuto vivere, non ha una fine, ma solo un’interessantissima svolta.
Insomma, il bidello ci stava dietro, e io ero un po’ stufo di questa situazione (come se iniziassi a capire che si trattava di un sogno, e adesso stava sfociando un po’ troppo nell’incubo), perciò chiesi a Pippi di scendere. Pippi era titubante, ma si fidò. Misi giù lo zaino e tirai fuori un bel coltellaccio affilato e appuntito da una delle tasche laterali. So che c’era una spiegazione al fatto di averlo con me, ma non seppi darla neanche a Pippi che – giuro – mi guardò con estrema perplessità. Io però mi stavo immedesimando nel ruolo dell’eroe e, non volendo essere meno speciale della mia amica, lanciai il coltello con estrema precisione. Che lo dico a fare, il coltello si piantò proprio in mezzo alla fronte del bidello. Non ebbi il tempo di sentirmi in colpa per il fatto, cioè di avere ucciso l’ospite dello spirito maligno, ma non lo spirito stesso. Però, nel momento in cui il bidello si prese la coltellata, lo spirito maligno volò fuori dal suo corpo. Era visibile! Si fece un bel volo e andò a sbattere con estrema violenza contro il muro in fondo.
Cauti, io e Pippi lo osservammo bene. Sembrava un bambino, forse anche perché aveva tutti i vestiti larghi, perfino i guanti (gialli) erano flosci, come se dentro non ci fossero le dita. Sulla testa aveva un cappuccio che in principio gli nascondeva il volto. Ma quando alzò il capo accidenti, lo giuro, perché credo che fu proprio la sorpresa a farmi svegliare – quando alzò il capo rividi quel sorriso giocondo e quegli occhietti inespressivi e ilari, a mezzaluna rovesciata.  Solo che adesso il suo musetto carogna sorrideva un po’ di più.
Era la pecora!
Con che aria spavalda si mise in piedi, sfidandoci con quel suo sguardo che adesso si rivelava estremamente inquietante. In un attimo, prima di svegliarmi, mi sono reso conto di come in cortile osservasse con attenzione tutto quello che le capitava intorno, avida di informazioni. Altro che assorta e assente! Io non so se è possibile che il mio inconscio avesse escogitato una tale situazione già prima, ammesso che la parola “prima” abbia un senso nel reame oscuro del sognare, ma ammetto che stavolta mi sono lasciato di stucco da solo (sempre ammesso che il sogno sia farina del mio sacco e non un universo parallelo di qualche tipo…).
La pecora si tirò su il cappuccio e corse via, proprio mentre Pippi esclamava: “Ma era così morbida!”
Poi mi sono svegliato. E forse non rivedrò mai più la mia piccola amica e quel morbidissimo stronzetto. Sigh.

P.S.: Un grazie enorme a Marina Brunetti, che ha disegnato per me i personaggi di questa esperienza onirica che avrei voluto trasformare in una favola o un racconto più compiuti...chissà, forse un giorno...intanto finalmente ho rimesso mano al blog e almeno posso depositarla qui.

COSE DAI SOGNI...